Porta Pia oggi: prodromi, storia, dibattiti

Come la breccia di Porta Pia ha cambiato il volto dell’Italia

Con l’espressione «è successo un ‘48» intendiamo «è successa una baraonda»: questo poiché nel 1848 l’Europa fu sconvolta da una serie di rivoluzioni (o rivolte) generalmente destinate a compiersi solo in parte o a rientrare in breve tempo. In Francia, ad esempio, le istanze rivoluzionare vennero presto abbandonate e il potere fu accentrato nelle mani del «secondo imperatore», Napoleone III, personaggio la cui sorte, come si vedrà, è d’importanza notevole proprio nella questione romana. In Italia il ‘48 si concretizzò in un tentativo d’unificazione in chiave anti-austriaca cui inizialmente collaborarono, inviando contingenti armati, oltre al Regno di Sardegna, lo Stato Pontificio e la Toscana asburgica. È in questo panorama che si delineano i prodromi degli avvenimenti di Porta Pia.

L’idea che guidava tale progetto era quella di un’unificazione di tipo federale cui sarebbe seguita una spartizione delle aree di influenza in un’Italia saldamente cattolica. Però, da un lato papa Pio IX diffidava più del Piemonte liberale che dell’Austria reazionaria e cattolica; dall’altro Leopoldo II temeva per una possibile prevaricazione da parte dei sabaudi: dunque gli eserciti toscano e pontificio furono in breve tempo ritirati e le grandi speranze riversate a inizio 1848 sul «papa liberale» Pio IX si trasformarono in risentimento e sete di vendetta: Mazzini – indipendentemente dal Regno di Sardegna – calò a Roma con propri volontari e fomentò la rivolta della popolazione.

A novembre venne instaurata la Repubblica Romana e il Pontefice si vide costretto a scappare mascherato da prete, e a cercare riparo nella borbonica Gaeta. Qui prese contatti con Napoleone III che, per assicurarsi il sostegno da parte della folta frangia cattolica francese, decise di assumersi il ruolo di protettore del Santo Padre. A pochi mesi dalla proclamazione della repubblica mazziniana, Roma venne invasa dai Francesi che permisero il ritorno del Papa.

Dal ritorno in patria di Pio IX a Porta Pia

A proposito della politica di Pio IX fra il 1850 e Porta Pia, Mario Isnenghi, storico della contemporaneità fra i più accreditati a livello nazionale, pur da posizioni lucidamente laiche e progressiste, parla di una resistenza talmente fuori dal mondo e dal tempo da risultare titanica, eroica e a suo modo ammirevole.

Papa Pio IX, infatti, rispose al popolo che chiedeva libertà, diritti e migliori condizioni di vita come un uomo del ‘600 o persino del Medioevo propriamente detto. Proclamò il dogma dell’Immacolata Concezione; inasprì la repressione del dissenso fomentando così un circolo vizioso di rivolte e sanguinarie reprimende: si pensi ai macabri spettacoli che descrive il Carducci in numerosi epodi (maxime quello dedicato ai «martiri del diritto italiano» Monti e Tognetti). Rinchiuse gli Ebrei nel ghetto – le cui mura egli stesso aveva fatto abbattere durante la primissima fase del suo pontificato, quella «liberale» – e avviò nei confronti del Popolo Eletto misure vessatorie fra cui conversioni forzate (emblematico il caso del «prigioniero del Papa re» Edgardo Mortara); pubblicò il famoso Sillabo degli «errori della modernità» (1864); istituì infine un concilio (il Vaticano I, iniziato nel ‘69 e interrotto il 20 settembre ‘70) obiettivo del quale era sancire l’infallibilità papale. 

Una situazione di questo tipo non poteva proseguire: così per ben due volte Garibaldi tentò con i suoi propri volontari di entrare in Roma e provocare una rivolta. Non vi riuscì nel ‘62, quando le stesse truppe sabaude lo fermarono in Aspromonte e lo relegarono sull’Isola di Caprera. Non vi riuscì nel ‘67 quando, nell’indifferenza del Regno d’Italia – indifferenza colpevole ed esecrata dal Carducci in numerosi epodi –, fu duramente sconfitto a Mentana dalle truppe napoleoniche.

Il 1870: le congiunture internazionali e la breccia di Porta Pia

Ciò che rese possibile nel 1870 l’entrata in Roma fu il ritiro della guarnigione francese. In quell’anno così denso per la storia d’Europa, la Francia si trovava ad affrontare la Prussia, da cui sarebbe stata sconfitta sprofondando in un caos (la Comune e la repressione della stessa).

Roma, che sin dai tempi di Cavour si designò quale capitale d’Italia e che il presidente del consiglio Lanza aveva assicurato che avrebbe annesso, rimaneva presidiata dal poco performante esercito del gen. Kanzler. Fra l’8 e il 9 settembre – mentre in Francia era appena stata proclamata la Repubblica –, avvenne uno scambio epistolare fra Vittorio Emanuele e Pio IX mediato dal senatore conservatore Ponza di S. Martino: il sovrano del Regno d’Italia pregava quello dello Stato Pontificio di arrendersi, promettendogli una una serie di risarcimenti e una pacifica convivenza. La risposta del pontefice ha del comico: «Faccio ricorso a Dio, e […] Lo prego di concedere abbondanti grazie a V. M. per […] renderla partecipe delle misericordie onde Ella ha bisogno». 

Non senza opposizioni (ad esempio del Cialdini),si decise l’assedio: le truppe sabaude, comandate dal gen. Raffaele Cadorna (padre del meno amato Luigi), entrarono nello Stato della Chiesa fra il 12 e il 13 settembre. Il 20 settembre erano alle porte di Roma. Poco dopo l’albasi sparò il leggendario colpo di cannone che aprì la breccia nei pressi di Porta Pia. Non fu un’impresa eroica – Carducci ben lo ricorda –: la resistenza dei pontifici era debole, e la città di Roma non si oppose all’arrivo dei sabaudi, anzi le testimonianze parlano di un clima di euforia generale. Il 3 febbraio del 1871 si proclamava Roma capitale.

Dopo Porta Pia: l’incubo del modernismo

Dopo la breccia di Porta Pia, la reazione di Pio IX, ancora una volta, fu fuori dal mondo e dal tempo. L’«abbraccio» di S. Pietro al mondo si capovolse in chiusura risentita: scagliando il non expedit il Papa scomunicò ogni fedele che s’interessasse (passivamente o attivamente) alla politica italiana, ritenuta un complotto giudaico-massonico-satanico (in questo momento il complottismo cattolico subisce l’accelerazione che lo porterà a rendersi amplificatore delle sciagurate teorie antisemite e antimassoniche del ‘900). In realtà dall’altra parte, ricorda Mola, persino gli ambienti più anticlericali (e la stessa Libera Muratoria) porgevano la mano al pontefice per tentare una riconciliazione (si pensi alla legge delle guarentigie); a dar conto di questo cambio d’atteggiamento c’è l’epodo finale della raccolta del «satanico» Carducci: «Cittadino Mastai [cognome di Pio IX]bevi un bicchier!».

Ma a questo calice non accosterà le labbra Pio IX, e neppure il – pur meno conservatore – successore Leone XIII, né Pio X, simbolo del cattolicesimo intransigente: costui, anzi, coniò il termine «modernismo» per indicare, condannandola con scomuniche dal sapore tridentino, la dottrina professata da una consistente fetta di cattolici (da laici o preti a intellettuali del calibro di Murri, Toniolo e Fogazzaro) che auspicava alla doppia conciliazione fra Chiesa e Stato e fra Chiesa e scienza. Sempre il Mola fa notare che le spinte moderniste erano presenti sin dai tempi del Risorgimento, e che una parte della popolazione italiana, cattolica praticante, aspirava a partecipare alla politica del proprio paese: invero, fra i pochi che avevano il diritto di voto, a esercitarlo furono ben più che i pochi cittadini non cattolici. 

Oggi: fra spinte d’apertura e istanze relazionare 

La politica anti-modernista della Chiesa primonovecentesca (quella che qui non problematizzeremo, limitandoci a ricordare come suo emblema il Concordato del 1929), si superò con l’apertura ecumenica del Concilio Vaticano II e da pontefici lungimiranti come Giovanni XXIII e Paolo VI che per altro ci tennero a condannare gli atteggiamenti antiebraici e antisemiti di cui la Chiesa era stata protagonista nel recente passato, e a giustificare – e persino benedire – la breccia di Porta Pia.

È vero che con Giovanni Paolo II e Benedetto XVI ci fu una battuta d’arresto e la Chiesa assunse una postura di relativa chiusura alla modernità (pensiamo alla decisa opposizione ai diritti civili di papa Wojtyla o al supporto agli anti-Concilio Vaticano II dato da Ratzinger), e che Francesco è considerato progressista più a parole che nei fatti; tuttavia oggi, grazie alle «benedette cannonate» (sono parole di Paolo VI) del 20 settembre 1870, e grazie anche a una Costituzione repubblicana che riconosce, però mantenendola al suo posto, la Chiesa, possiamo dirci uno stato laico e libero da eccessive ingerenze religiose, e possiamo beneficiare del ruolo di guida spirituale di una Chiesa non – troppo – compromessa col potere temporale.

Andrea Monti per Questione Civile

Bibliografia

A. Barbero, Le parole del Papa: da Gregorio VII a Francesco, Roma-Bari, Laterza, 2016

E. Cecchinato, M. Isnenghi, Fare l’Italia: unità e disunità nel Risorgimento, Torino, UTET, 2008

D. I. Kertzer, Prigioniero del Papa re, Milano, BUR Rizzoli, 2001

A. A. Mola, Giosue Carducci: scrittore politico massone, Milano, Bompiani, 2006

  1. A. Mola, L. Pruneti, Risorgimento & Massoneria, Roma, Atanor, 2013 

Si leggano poi le numerose e belle poesie del Carducci giambico e del Pascoli risorgimentale (le edizioni sono numerose e spesso le punte di diamante di questa produzione sono antologizzate).

Sitografia

Aldo Mola a Radio Radicale su Porta Pia

La campana cattolica: Turco e Viglione su Porta Pia

Mario Isnenghi su rapporto fra Stato e Chiesa

+ posts

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *