Beat generation. Gli ultimissimi cavalieri erranti

Beat generation: cos’è?

Con «Beat generation» si delimita, più che l’insieme degli individui nati in un dato arco cronologico, una particolare attitudine nei confronti del mondo e della società; un’attitudine incarnata, certo, dai giovani americani – e in minor parte europei – nati fra gli anni ‘20 e ‘30, ma non diffusa in maniera uniforme fra costoro e tantomeno esente da revival successivi.

Ma cosa vuol dire «beat»? La definizione non è univoca. Da un lato si fa riferimento al verbo inglese to beat (battere, sconfiggere): chi si dice beat è tanto uno sconfitto dalla società e dalle convenzioni, quanto un ribelle che anela egli stesso a sconfiggere tale oppressione. Ma vi è anche un’altra accezione del termine, proposta niente meno che dallo scrittore Jack Kerouac, considerato per consensum gentium il massimo rappresentante della Beat generation: «beat» deriverebbe dal latino BEATUM, e significherebbe dunque «in pace». In pace sia sul versante religioso – a ciò presto si farà cenno –, sia sul fronte politico: la Beat Generation fu infatti un’imprescindibile soggetto collettivo che si schierò con risolutezza contro ogni tipo di guerra e violenza.

Cultura beat e religione 

Si può senza problemi sostenere che «beat», nel contesto qui preso in esame, abbia la doppia valenza semantica cui si faceva riferimento. Sconfitta ed emarginazione sociale, infatti, si compenetrano con una ricerca del «volto di Dio» misticheggiante e del tutto inedita. «Vedere Dio» è ciò di cui «andava in cerca» Kerouac, come ben ricordò Fernanda Pivano, vero tramite della cultura beat in Italia, nonché massima e insuperata traduttrice degli scrittori beat. Quale dio? – possiamo chiederci.

Un dio inafferrabile, dai contorni mutevoli e sfumati. Se prendiamo Kerouac, potremmo essere tentati a ridurlo al Cristo cattolico: l’autore di On the road, infatti, parla di una vera e propria vocazione scaturita da una sua esperienza di preghiera in una  chiesa. Tuttavia egli stesso non chiude le porte a suggestioni orientali, specialmente buddhiste, come pure riconducibili al sostrato tradizionale nativo americano (Kerouac era di stirpe «indiana» per parte di madre): si leggano in merito, rispettivamente, I vagabondi del Dharma e alcune poesie della raccolta Mexico city blues

Beat generation: Ferlinghetti e Ginsberg 

Di suggestioni paniche e buddhiste si può parlare a proposito di altri due notevoli autori della Beat generation: Lawrence Ferlinghetti e Allen Ginsberg, che per altro furono tra i più importanti scrittori politici del loro tempo. Ferlinghetti, intellettuale a tutto tondo, poeta, editore, saggista e polemista, fu coscienza critica dell’America bellicista dai tempi della guerra in Vietnam fino alle repressioni avvenute nei paesi islamici dopo l’11 settembre (egli, complice una condotta di vita stranamente poco sregolata, visse ben 101 anni: 1919-2021). Ginsberg, di origine ebraiche, fece sapiente uso della cultura tradizionale biblico-talmudica nella sua poesia; rifletté, per altro, sullo shock causato dall’antisemitismo e dall’anti-comunismo in una persona fragile come sua madre Naomi, cui dedicò Kaddish, da molti considerato il suo componimento più bello, forse poiché immune dalle atmosfere eccessivamente allucinate di tanta parte della sua poesia.

Beat generation: il poeta dell’incubo atomico: Gregory Corso

Insieme a Ginsberg e Ferlinghetti, va menzionato Gregory Corso. Varrebbe la pena rileggerlo al giorno d’oggi: Corso fu il poeta forse più calato nelle preoccupazioni politiche della sua generazione; fu autore della celeberrima Bomb, poesia sull’incubo atomico (tema che purtroppo ritorna attuale).  Si tratta di un componimento fortissimo, di una denunzia apertis verbis dell’origine umana del terrore atomico: «Bomb, you are as cruel as man makes you». Bombvenne musicata; così pure avvenne per molte ballate del Ginsberg – specialmente del Ginsberg politico e pacifista – che collaborò fruttuosamente con il nobel Bob Dylan.  

Un’appendice a mimesis

Ma cosa vuole dirci della società e dello stato dell’arte (alla lettera) la cultura beat? Potrebbe sembrare eccessivo, o quantomeno fuorviante, scomodare uno fra i più grandi critici letterari di sempre – Eric Auerbach –; e tuttavia lo si farà. Auerbach, nel suo celeberrimo Mimesis, dedicò un nodale capitolo alla «partenza del cavaliere cortese». Potrebbe parere molto distante dalla Beat generation, ma si vedrà che non è così. Nel suddetto passaggio, Auerbach notava che il «mondo» cortese-cavalleresco, ovvero il cronotopo arturiano entro cui si muovono i «cavalieri erranti» della Tavola Rotonda (per intenderci quello rappresentato nei romanzi di Chrétien de Troyes e in generale medievali), era un mondo totalmente avulso dalla realtà.

Rapporti geografici e sociali non avevano nulla a che vedere con la realtà medievale: erano anzi costruiti al solo fine di fornire un terreno di auto-affermazione per il cavaliere errante.

Però col passare del tempo – e questo è l’interesse precipuo dell’Auerbach –, si assiste nella letteratura occidentale all’irruzione del realismo, che consiste un ampliamento dello scarto fra l’aspettativa del «cavaliere errante» e la realtà concreta del mondo, che viene trasferita sempre più in letteratura. Ed è una realtà che non può e non vuole più assecondare la ricerca indeterminata di «qualcosa» intrapresa dall’eroe. Emblema di un cambio di paradigma di questo tipo è Don Chisciotte, convinto di «partire alla ventura» in un mondo in tutto e per tutto costruito per la sua propria erranza, come accadeva al suo eroe «di carta» Amadigi di Gaula. Ma le scene in cui queste high hopes si scontrano con una realtà prosastica sono numerose e costituiscono il fulcro del capolavoro di Cervantes, e il motivo della sua comicità. 

Vagabondi beat e cavalieri erranti

Più che di comicità, è corretto parlare, pirandellianamente, di umorismo: riflettendo infatti sulla discrepanza fra mondo ideale e reale, c’imbattiamo nel cardine del tragico conflitto che generò la Beat generation. Prendiamo On the road: a una lettura attenta non possiamo non accorgerci di notevoli consonanze fra i personaggi protagonisti – rappresentanti, certo esagerato, dei moderni cittadini che vivono nel capitalocene e lo rifiutano – e i cavalieri erranti di Chrétien (Yvain, Perceval, Lancelot…). Sal Paradise, Dean Moriarty etc, sono alla ricerca di «qualcosa» cui non sanno dar nome; perciò partono, senza meta: balena alla mente l’Yvain chrétieniano e la presentazione del cavaliere cortese: «Io sono, lo vedi, un cavaliere / Che cerca ciò che trovar non può / Ho cercato a lungo, e non ho trovato». Non è forse qualcosa di simile alla ricerca indefinita del viaggio coast to coast?, alla spasmodica tensione, mai placata, verso il «volto di Dio»?

In definitiva le consonanze sono notevoli, e meriterebbero analisi approfondite. Qui ci si limiterà a mettere in luce un’enorme differenza: il mondo dell’avventura beat è opposto al mondo in cui viveva Yvain. Il mondo dell’avventura beat è il mondo reale. È «desolato», come ben dice Kerouac.

È il mondo capitalistautilitarista e soprattutto è il mondo post-morte di Dio: il cavaliere errante che va «all’avventura» si trova a combattere non più avversari funzionali al suo trionfo; né gli è riservata un’eroica sconfitta: egli deve fare i conti con la mancanza di soldi, con le convenzioni sociali, con una realtà oltremodo prosastica.

Sarà un vagabondo, un emarginato, un «beat» dunque. E l’elemento doloroso, non so fino a quanto inconscio, è che gli stessi autori beat – maxime Kerouac nella sua prosa – denunziano di essere stati assimilati al mondo da cui tentano di evadere. Per comprenderlo, basta aprire il buon vecchio On the road e prestare attenzione alle descrizioni: ogni personaggio è qualificato per i suoi abiti – merci –; ogni oggetto è qualificato per il suo prezzo; persino il viaggio, l’essenza stessa dell’evasione, è ossessivamente descritto nei suoi costi. Siamo dinnanzi a una tragedia capitalistica, e forse all’ultima (naufragata) protesta mossa dalla letteratura occidentale contro il Capitale. 

Andrea Monti per Questione Civile 

Bibliografia:

Testi fondamentali di Jack Kerouac (sono in commercio varie altre edizioni):

J. K, Angeli di desolazione, Oscar Mondadori, Milano, 1998

J. K, Sulla strada, Oscar Mondadori, Milano, 2006

J. K, Mexico City blues, Oscar Mondadori, Milano, 2020

J. K, I vagabondi del Dharma, Oscar Mondadori, Milano, 2006

J. K, I sotterranei, Oscar Mondadori, Milano, 2013

Antologie di Ginsberg, Corso e Ferlinghetti :

G. Corso, Gasoline, Minimum fax, Roma, 2015

L. Ferlinghetti, Greatest poems, Lo Specchio Mondadori, Milano, 2017

  1. Ginsberg, Papà respiro addio, Il Saggiatore, Milano, 1997

Autori vicini all’esperienza beat: N. Algren, Ch. Bukowski, W. S. Burroughs, J. Fante – cfr. anche lo scrittore postmoderno italiano P. V. Tondelli;

Saggi utili:

E. Auerbach, Mimesis. Il realismo nella letteratura occidentale, Einaudi, Torino (varie edizioni)

B. Miles, Il Beat Hotel, Guanda, Parma, 2007

F. Pivano, Viaggio americano, Bompiani, Milano, 2017

F. Pivano, Beat, Hippie, Yippie, Bompiani, Milano, 2017

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