Il ruolo preminente delle arti minori nel medioevo: il caso dell’altare di Sant’Ambrogio
L’altare di Sant’Ambrogio a Milano è il fulcro della basilica, in quanto segnala la presenta delle reliquie dei Santi Gervasio, Protasio e lo stesso Ambrogio. Si tratta di una delle opere più rappresentative dell’arte orafa carolingia, tra le più alte espressioni di maestria e preziosità in epoca medievale.
Il ruolo “supplente” delle arti minori nel medioevo
Per molte epoche le opere d’arte minori sono i soli documenti a noi pervenuti, i soli che possano offrire una chiave di conoscenza e comprensione per le opere d’arte “maggiori”: lo storico dell’arte Pietro Toesca scrisse che il loro era un “ruolo supplente”[1].
Si tratta di una molteplicità di manufatti che attestano la supremazia delle arti minori su quelle maggiori nell’esprimere la sensibilità artistica di un’epoca. A questa moltitudine di manufatti è affidata in gran parte la nostra conoscenza di quella che Alois Riegl chiamava Kunstwollen. Queste opere d’arte rappresentano una testimonianza assoluta del sentire delle epoche precedenti più povere di testimonianze: ergo sono le sole chiavi di lettura per comprendere l’humus culturale di una specifica epoca.
“Utilità” e “inutilità” delle arti maggiori e minori
Non si può negare che di fronte alla sublime “inutilità” della scultura e della pittura, rivolte al puro godimento estetico, le opere d’arte minore siano in genere oggetti funzionali, destinati ad un uso pratico e specifico, con un margine di “superfluo, di lussuosa inutilità”[2]. Si pensi all’illimitato capo di oggetti d’uso liturgico come capsele, situle, incensieri e reliquiari che vanno sotto il nome di ornamenta ecclesiae, oppure ai regalia, oggetti che devono testimoniare il potere regale: corone, scettri, spade e manti.
Il ruolo che ricoprivano tali manufatti, sia legati al culto sia legati alla corte imperiale, era eminente. Ciò era dovuto alla committenza esclusiva di altissimo rango di sovrani, imperatori, papi, badesse e abati, i quali legarono i loro nomi, e la loro memoria, a tali capolavori.
Il valore trascendente delle gemme e dei metalli preziosi
L’altissimo rango si rivela anche nel lusso che trascende immensamente la funzionalità dell’opera, ne consacra il significato simbolico trascendente la consegna al godimento puro, alla pura fruizione estetica[3].
La preziosità della materia nelle opere d’arte minori non è però vuota esibizione del lusso; la profusione di oro e gemme non vuole essere fine a se stessa ma è legata strettamente al valore simbolico dell’oggetto e al grande “valore aggiunto” rappresentato dalla magistrale manifattura dell’opera. A questo proposito è rivelatrice l’affermazione straordinariamente concisa di Guglielmo di Malmesbury, contemporaneo di Bernardo di Chiaravalle, che nella sua opera De Gestis Pontificum Anglorum.
Egli, dopo aver descritto la cattedrale di Canterbury, passa in rassegna altri ornamenta della cattedrale: abiti, paramenti sacri, suppellettili; molte parole verranno spese per sottolineare la minuzia e la grandiosità del lavoro artigiano, un lavoro che oltrepassa la preziosità della materia: “materia superabat opus”[4]. Quest’ultima affermazione è degna di nota: ciò che conta, in questo passo, non è la materia ma l’opus; si comincia a riconoscere il valore principale di questi manufatti, ovvero quello artistico a cui verrà subordinato la preziosità dei materiali.
La trasportabilità
Altro aspetto fondamentale dell’eminente ruolo storico delle arti minori nel medioevo sta nella loro natura di “mobilità”. Sono frequenti i casi in cui un oggetto d’arte veniva commissionato ad un artista di un paese lontano o a una bottega remota dal luogo cui era destinato. I codici eseguiti negli scriptoria famosi e destinati a dotare le biblioteche delle nuove abbazie, gli avori delle botteghe lombarde intorno al Mille, gli smalti delle botteghe mosane viaggiavano più facilmente di quanto si possa oggi immaginare. Assumevano così una funzione importante di circolazione culturale e di scambi stilistici.
Lo spessore culturale
L’ultimo fattore da prendere in considerazione, per spiegare l’importanza di tali oggetti è lo spessore culturale. Queste opere nacquero solo per pochi fruitori coltissimi: le scelte iconografiche, le scritte che spesso accompagnavano le immagini rivelano artisti e mecenati raffinati.
Non si esagera se si afferma che certe opere richiedono non solo una cultura sottile, ma anche una decifrazione paziente; richiedono di essere lette materialmente e non solo contemplate. Chi, ad esempio, si accosta alla Pala di Klosterneuburg dell’immenso Nicolas de Verdun, dove le formelle smaltate allineano gli episodi biblici ante Legem, sub Lege e sub Gratia, dovrà avere almeno una qualche conoscenza della lettura patristica della Bibbia.
L’altare di Sant’Ambrogio: “contenitore” e “contenuto”
L’opera più sfarzosa che da sola basta a testimoniare il livello altissimo dell’oreficeria medievale è l’altare d’oro della basilica di Sant’Ambrogio a Milano.
L’altare aureo fu il fulcro della ristrutturazione che il vescovo Angilberto II (824-860) fece in Sant’Ambrogio a Milano.
L’antica basilica, che custodiva le sacre reliquie di Ambrogio, è il luogo in cui si manifesta il programma politico carolingio. Sin dal 785 il vescovo Pietro istituì presso la chiesa, posta sotto la protezione imperiale, un’abbazia santificata dalla tomba del patrono di Milano.
Alla fabbrica del IV e V secolo si aggiunse una grande abside preceduta da un ambiente voltato a botte, adatto alle funzioni liturgiche. Il ciborio paleocristiano, posto lì sotto, venne completato da quattro timpani, che originariamente dovevano essere dipinti e arricchiti da stoffe e tessuti, vennero rivestiti in stucco nel X secolo[5]
Al di sotto del ciborio vi è l’altare d’oro, vistoso simbolo della presenza delle reliquie di Ambrogio, patrono di Milano, e di quelle dei martiri Gervasio e Protasio, traslate proprio in quegli anni.
L’altare di Sant’Ambrogio e il programma iconografico
L’altare ha la forma di una grande cassa, non fu progettato al fine di contenere i santi; infatti, il vero sarcofago si può benissimo intravedere attraverso la finestrella posta nel retro della cassa.
La facciata anteriore, ovvero quella rivolta verso i fedeli, è divisa in tre parti. In quella centrale vi è una grande croce con al centro il Pantocratore in trono e nei quattro bracci i simboli degli evangelisti, negli spazi angolari i dodici apostoli vengono uniti a gruppi di tre per adorare la teofania.
I due pannelli laterali sono divisi in sei parti con storie cristologiche che vanno lette dal baso verso l’alto e da sinistra verso destra.
La pars anteriore dell’altare di Sant’Ambrogio
Dal pannello sinistro trova posto l’Annunciazione, l’Adorazione dei pastori, la Presentazione al tempio, le Nozze di Cana, la Guarigione del figlio Giaro, la Trasfigurazione; nel pannello destro la Cacciata dei mercanti, la Guarigione del cielo, la Crocifissione, la Pentecoste, la Resurrezione e l’Incredulità di San Tommaso[6].
La parte anteriore, rivolta verso il clero e perciò visibile solo da questi ultimi, riprende la stessa tripartizione della fronte, lo spazio centrale è invece occupato da due sportelli che chiudono la finestrella della confessio. I tondi che la decorano riportano gli arcangeli e due scene di omaggio: Ambrogio incorona il vescovo Angilberto e Ambrogio che incorona Vuolvino “Magister phaber” .
I pannelli laterali dell’altare di Sant’Ambrogio
Gli episodi nei pannelli laterali erano: il Miracolo delle api (che preannuncia la santità dell’infante), Ambrogio parte per governare l’Emilia e la Liguria, Ambrogio viene richiamato a Milano da Dio, Ambrogio viene ordinato vescovo.
La lunga iscrizione che corre lungo le incorniciature delle scene è parte integrante del programma iconografico stesso: chi legge è avvertito di non lasciarsi abbagliare dalle pietre preziose e dalle gemme, ma di ammirare il vero splendore, ovvero le reliquie contenute all’interno.
I lati dell’altare sono trapuntati da un’intelaiatura geometrica e contengono una grande croce gemmata circondata da angeli adoranti e santi chiusi all’interno di clipei. Una enorme quantità di gemme e pietre preziose con l’aggiunta di placchette di smalto policromo cloisonné adornano l’intera opera.
Gli artisti e le botteghe
L’opera è concepita come unitaria, ma alla sua realizzazione presero parte diverse mani e botteghe. I maestri delle storie cristologiche attinsero a molte fonti: il modo di organizzare le scene rimandano a modelli tardo-antichi. Nelle scene all’aperto e, in particolare nelle visuali a “volo d’uccello”, il chiaro riferimento è il Salterio di Utrecht.
Alcuni elementi grotteschi, come quelli presenti nella Cacciata dei mercanti, non si possono spiegare se non attraverso la conoscenza della miniatura costantinopolitana del IX secolo, dopo la sconfitta dell’iconoclastia.
La compresenza di tutti questi stimoli fanno presumere che le maestranze fossero originarie, o quantomeno attive, in Lombardia. In questa regione, infatti, poteva avvenire l’innesto della tradizione figurativa tardo-antica dell’arte carolingia da una parte, e dell’arte costantinopolitana dall’altra.
L’altare di Sant’Ambrogio: la pars di Voulvinus
È già stato notato ampiamente[7] come la sua auto-rappresentazione a parimerito con il vescovo sia un fatto del tutto eccezionale nella prassi artistica di quei secoli, e ciò si giustifica solo con la dignità monastica di Magister Voulvinus. Nelle scene relative al vescovo Angilberto, oltre a sottolineare l’importanza del personaggio stesso, si evidenzia il ruolo della chiesa cristiana attraverso la polemica anti-ariana (Conversione di un ariano, Funerali di san Martino).
In ultimo si ribadisce il diritto del vescovo a detenere il potere e l’autorità sulla città: egli, infatti, oltre ad esercitare funzioni spirituali esercitò anche funzioni terrene in un ruolo che potrebbe essere riassunto nel concetto di missus dominicus, del vescovo rappresentante del potere imperiale.
La missione che è chiamato a compiere Voulvinus è, senza dubbio, molto difficile: egli deve tradurre, senza precedenti iconografici, questo complesso insieme di significati. Egli sceglie un linguaggio figurativo austero e minimale, riprende dagli avori ravennati di VI secolo – come la cattedra di Massimiano – una gravitas particolare. Le figure sono sempre rappresentate con gesti significativi e solenni ma, allo stesso tempo, trattenuti.
Greta Cingolani per Questione Civile
Bibliografia essenziale:
- A.GRABAR, L’age d’or de Justinien, Paris, 1966 (ed. ita 1967)
- J. HUBERT, J. PORCHER, W.F. VOLBACH, L’Europe des invasions, Paris, 1967 (ed. ita 1968)
- F. AVRIL, X. BARRAL ALTET, D. GABORIT- CHOPIN, Les temps des Croisades, Paris 1983 (ed. ita 1984)
- L. CASTELFRANCHI VEGAS, L’arte dell’Anno Mille in Europa (950-1050), 2018
- R. CASSANELLI, E. CARBONELL (a cura di), L’arte e il Mediterraneo. Da Maometto a Carlomagno, Milano, 2001
- E. CASTELNUOVO, G. SERGI (a cura di), Arti e storia nel medioevo, I-IV, Torino, 2002-2004
Sulla miniatura:
- M. MEISS, French Painting in the Time of Jean de Berry. Late Fourteenth Century and the Patronage of the Duke, London, 1967
- C. NORDENFALK, J. GAEHDE, Carolingian Painting, NY, 1977
- R. G. GAMESON, L’arte nell’Inghilterra meridionale e in Fiandra, in L. CASTELFRANCHI VEGAS, L’arte dell’Anno Mille in Europa (950-1050), Milano, 2018
Sull’oreficeria:
- BELLI BARSALI, L’oreficeria medievale, Milano, 1966
- C. R. DODWELL, Anglo-Saxon Art. A new Perspective, Manchester, 1982
- V. H. ELBERN, “Oreficeria”, in Enciclopedia dell’arte medievale, VIII, Roma, 1997
[1] P. TOESCA, 1930.
[2] L. CASTELFRANCHI, 2020.
[3] Ibidem.
[4] G. VASARI, Le vite, pp. 34-35, 37.
[5] DE VECCHI, CERCHIARI, 2001.
[6] Gli ultimi tre pannelli, però, sono aggiunte del XVII secolo.
[7] PIGLIONE, 2000.