Östlund e l’esistenzialismo satirico e blaterante

Östlund

Ruben Östlund, il regista svedese

Sul regista svedese Ruben Östlund è incentrato il terzo articolo dedicato al cinema espressionista contemporaneo: esistenzialismo, disagio sociale e black humor come capisaldi della futilità della vita.

“Nuovo cinema espressionista”
-N. 3
Questo è il terzo numero della Rubrica di Area dal titolo “Nuovo cinema espressionista”, appartenente alla Macroarea di Lettere e Cinema

Una breve panoramica sull’odierno cinema scandinavo

Nel corso del ventesimo secolo il cinema dei paesi del Nord Europa ha indagato le ragioni morali dei comportamenti umani, nel quadro dell’etica protestante. Negli ultimi anni si è assistito, invece, all’emergere di una generazione di nuovi autori attenti alle disfunzioni sociali e alle difficoltà relazionali, tra cui Ruben Östlund si colloca specificamente.

In questo quadro, non vi è dubbio che il “Manifesto Dogma 95” abbia costituito una sfida di carattere tecnico-estetico che ha influenzato diversi cineasti dei paesi scandinavi. Ideato dal regista Lars von Trier per “purificare” il cinema da effetti speciali e costosissimi investimenti (ne è un esempio per eccellenza “Dancer in the Dark” – 2000), al movimento Dogma 95 hanno aderito vari registi danesi in particolare: Thomas Vinterberg, Soren Kragh-Jacobsen e Kristian Levring. Il manifesto ha reso palpabile la possibilità di ottenere successi con budget produttivi limitati e con l’uso della videocamera digitale. Tuttavia, nel caso del recente cinema dei paesi nordici, non si parla di un movimento estetico unitario di rinnovamento, a partire da una teoria. Piuttosto, ci si riferisce a nuovi linguaggi cinematografici che si impegnano a ridefinire crisi esistenziali e fattori di alienazione.

Il punto in comune tra le cinematografie dei paesi scandinavi è senz’altro l’attenzione privilegiata al ruolo e alla figura dell’attore, in ragione di un preciso riferimento alla tradizione teatrale. Nei film dei registi nordici contemporanei lo spazio è gestito come un palcoscenico teatrale, eccellente condizione per mettere a fuoco anima e comportamenti dei personaggi. Attraverso una dialettica tra interno ed esterno, tra sentimenti intimi ed espressioni esteriori, vengono mostrate, con lucida radicalità, relazioni interpersonali e familiari. Si può certamente affermare che il movimento Dogma abbia posto l’attore al centro del dispositivo cinematografico.

Östlund e la precarietà della vita e delle emozioni umane: Forza maggiore

Il terzo lungometraggio di Ruben Östlund è vincitore del premio della giuria nella sezione “Un Certain Regard” al sessantasettesimo Festival di Cannes. Il film è stato anche selezionato per rappresentare la Svezia nella categoria miglior film straniero agli Oscar. Riconoscimenti di tutto rispetto per una delle opere più controverse di Östlund “Forza maggiore”(2014).

La trama si dipana in questo modo: una famiglia, composta da marito, moglie e due figli, passa cinque giorni di vacanza sulle Alpi in un residence. I problemi iniziando quando, il primo giorno, una valanga si abbatte sulla terrazza dove i quattro fanno colazione insieme a tanti altri ospiti. Nella confusione e nella nebulosità del nevischio, preso dalla paura, il padre scappa, lasciando sola la moglie con i figli.

“Forza maggiore” ci insegna innanzitutto che, sotto la patina della civiltà, vi è un egoismo primordiale, istintivo, che si esprime qui nella viltà del maschio e nella dedizione ai figli della femmina (prevalentemente ma non sempre). La pellicola ci impartisce tale insegnamento con una crudezza e una radicalità spaventose.

La progressione della crisi di questa famiglia è narrata con una precisione psicologica e narrativa spietata. Eppure, in conclusione Östlund cerca di salvare il salvabile: sapendo quanto è comune la precarietà delle nostre esistenze ed esperienze, riafferma una qualche fiducia nell’uomo. Un’ambigua soluzione, che però riafferma il gruppo e la famiglia come delicate necessità. Un finale simbolico e rassicurante: l’umanità va avanti, pur con tutte le sue fragilità, e sa ritrovare un senso comune anche nell’insicurezza, cosciente delle proprie debolezze, in una necessaria, obbligata solidarietà. Per tutto il film, tuttavia, lo spettatore è duramente costretto a constatare e a soffrire di cose che lo riguardano, che ci riguardano.

Östlund e la satira contro le macrocategorie della società contemporanea occidentale: The Square

Vincitore della Palma d’oro del 70° Festival di Cannes, “The Square” (2017) delinea un’impronta autoriale netta per Östlund: l’originalità di un percorso cinematografico di un sistema costruito su osservazioni ed esperienze sociologiche.

“The Square” (così come in seguito farà “Triangle of sadness”)mira a satirizzare una specifica macrocategoria sociale che sta subendo una caratteristica evoluzione nell’età odierna: i critici d’arte, gli artisti contemporanei e, in particolare, l’arte concettuale. A tal proposito, l’associazione con il recentissimo “The Menu” (2022) di Mark Mylod è d’obbligo. Difatti, quest’ultimo è una brillante satira horror che smonta e denigra i ristoranti stellati e i critici gastronomici.

Eppure, “The Square” non si accontenta di proporre una facile satira del mondo dell’arte contemporanea. L’universo dell’arte contemporanea è difatti considerato come una lente per osservare i difetti della nostra società occidentale. Östlund intende parlare della responsabilità comune, e ci invita a interrogarci in rapporto agli altri, alla morale e alle questioni umanitarie. Così, mentre “Forza maggiore” studiava la reazione di un padre di famiglia messo di fronte al panico in una situazione di stress; “The Square” si interessa alle contraddizioni che intervengono tra le nostre convinzioni e il nostro comportamento, nel momento in cui affrontiamo circostanze imprevedibili. Lo scopo della pellicola è di farci riflettere sul modo in cui giudichiamo le persone. Gli imbarazzanti confronti tra i personaggi e l’arido senso dell’umorismo di Östlund affrontano la disuguaglianza sociale con leggerezza, ma senza prendersi gioco della questione.

Alcune scelte estetiche nel film sono fortemente impattanti e contraddistinguenti della narrazione del regista svedese. Sottolineano concetti come quello di un’umanità patetica e codarda, incapace di vivere civilmente, costantemente insoddisfatta, intrappolata in un circolo vizioso disagiante e disturbante.

Östlund e il disastroso apice della degradazione umana: Triangle of sadness

La seconda Palma d’oro della sua carriera, Östlund la ottiene grazie al suo ultimo e recentissimo film “Triangle of sadness” (2022). Si tratta di un evento raro, vincere due Palme d’oro a Cannes a distanza di pochi anni, ma il regista svedese è riuscito comunque nell’impresa.

Sicuramente in molti ricorderanno “Triangle of sadness” per una canonica scena del trailer che uscì poco tempo fa. Nella clip in questione vengono inquadrati un gruppo di modelli a petto nudo, ai quali un giornalista sottopone una “prova”: secondo le regole del mondo della moda, i marchi scadenti mostrano modelli sorridenti, mentre i marchi prestigiosi richiedono ai modelli sguardi seri, misteriosi, a tratti imbronciati. Il gioco consiste nell’alternare sguardi sorridenti e sguardi austeri al ritmo di “H&M” (marchio scadente) e “Balenciaga” (marchio prestigioso). In tale clip potrebbe essere riassunto il senso della strepitosa pellicola.

Il “triangolo della tristezza”, come racconta Östlund, si riferisce a quella porzione di fronte in mezzo alle sopracciglia, che, se irrigidita, dona un’espressione seriosa, triste o sexy. Si tratta di un espediente utilizzato in particolare dai modelli, non a caso. Il regista parte da questo dettaglio estetico, utilizzato per evidenziare la dilagante ossessione per le apparenze, per costruire la sua nuova satira nei confronti delle degenerazioni della società. Un ennesimo massacrante e attento studio del comportamento umano, tra ipocrisie e ruoli sociali prestabiliti da seguire passivamente.

Östlund

Cinismo, ribrezzo, anarchia narrativa

Come il regista Yorgos Lanthimos, anche Östlund opta per la divisione della pellicola in atti, come fosse un’opera teatrale. E un po’ lo è, considerando il tipo di espressività recitativa adottata dall’autore.

Nella pellicola le percezioni intellettuali vanno riversandosi in quelle fisiche. Ciò che viene reso violentemente figurativo (problemi intestinali), è specchio dei discorsi che diventano l’autentico materiale di scambio tra autore e pubblico. Gli spettatori vengono costretti a riflettere sulle brutture che il film mette in moto e che prendono la forma materiale di scorie umane e conati.

Östlund declina le distorsioni della nostra società tramite una convivialità rovesciata, un banchetto che sfocia in una carnevalesca quanto nauseante anarchia. Una tendenza palese anche in “The Square”, ma più sboccata e volgare qui. Si passa dalla repulsione delle tanto enfatizzate scene “di corpo”, a quello che dovrebbero suscitare i codici di comportamento a cui qualsiasi comunità rimane assoggettata. La pellicola azzarda, esagera, esaspera, generando un senso di voltastomaco, nel pubblico e nei protagonisti. L’opera vuole essere l’esaltazione di un cinema alto, che sfianca e innervosisce lo spettatore, che non può e non deve lasciare indifferenti di fronte a prese di posizione tanto perentorie e satiriche. Ridere di ribrezzo e ridere per il ribrezzo. Che sia nei confronti della tesi che l’autore porta o per quello che ha venalmente messo in scena. Un cinema stordente, a cui non importa di essere tronfio, perché desidera esserlo.

Probabilmente se venisse detto al regista che ci sono molte persone che odiano la sua pellicola, questo potrebbe esserne quasi contento o addirittura condividere la loro stessa posizione.

Il ribaltamento delle classi e dei ruoli sociali

Se nell’affondo del Titanic si legge l’inabissamento della vecchia casta ottocentesca, lo yatch di “Triangle of Sadness” è la rappresentazione vivente della decostruzione delle classi sociali contemporanee. In cima alla piramide vi sono i ricchi e i loro desideri-ordini: come quello di Vera, la quale obbliga il personale a farsi una nuotata invece che lavorare. L’ostilità dell’opera nei confronti dei suoi personaggi più abbienti è veicolo per un’analisi della società, di cui l’autore non risparmia nessuno, mostrando quanto tutta l’umanità possa essere inetta. Un livello che equilibra la scorrettezza, la prepotenza e la corrosività delle persone: un briciolo di potere, di guadagno o di capitale stravolge la nostra concezione del mondo, facendoci credere di poterlo piegare alle nostre regole.

“Siamo tutti uguali” viene più volte affermato nel film. Lo siamo davvero? Ad affermare ciò, come la pellicola ci mostra, sono sempre i personaggi più ricchi (di soldi o di bellezza), per cui l’uguaglianza sembra essere un concetto con cui riempirsi la bocca a tempo perso.

Alice Gaglio per Questione Civile

Filmografia

  • Ruben Östlund, Forza maggiore, Plattform Produktion, 2014.
  • Ruben Östlund, The Square, Plattform Produktion, 2017.
  • Ruben Östlund, Triangle of sadness, Plattform, Essential Films, 2022.

Sitografia

  • cinecriticaweb.it/panoramiche/cinema-scandinavo-crisi-esistenziali-e-nuove-identita/
  • www.internazionale.it/opinione/goffredo-fofi/2015/06/03/forza-maggiore-ruben-0stlund-recensione
  • www.anonimacinefili.it/2017/11/08/the-square-una-derisione-liberatoria-dellarte-contemporanea-recensione/
  • www.cineforum.it/recensione/Triangle-of-Sadness
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